A volte la vita offre lussi che scaldano il cuore. Uno di questi è quello di scoprire nuovi mondi e aver la fortuna di incrociare sguardi amici, pronti ad accoglierci e prendersi cura di noi. Occhi invitanti, profondi, variopinti, cui basta un sorriso per illuminarsi e restutuire calore umano che ha matrici ancestrali comuni. Lo si sente. Soprattutto in posti remoti come quelli a cui si riferiscono queste foto. Il centro asia è culla di diverse civiltà. Persiani, Turchi, Russi, Tartari, Mongoli e Ariani si sono mescolati per secoli dando vita a un arcobaleno di volti che addolcisce il cuore. All’interno della stessa cerchia familiare, si notano differenze e mescolanze etniche sostanziali. La durezza della vita in questa zona del mondo che i russi chiamavano Turkestan segna profondamente la pelle e lo sguardo di queste caparbie persone che, senza conoscere il “benessere”, lottano contro il freddo, la sabbia e il vento di montagna: una natura aspra e poco clemente (in inverno, le temperature nel pamir orientale raggiungono i 50 gradi sotto lo zero) rimanendo, forse proprio per questo, decisamente umani. Un’ospitalità calorosissima che non potremmo sognare di trovare neppure nelle nostre terre meridionali, figurarsi a latitudini più settentrionali dominate da privacy e diritto-dovere a non disturbarsi reciprocamente. Un diritto-dovere che ha portato ad un inesorabile inaridimento delle relazioni umane. Dove ognuno pensa a migliorare sempre più la propria condizione personale e si perde di interesse nell’altro. Questi occhi parlano di una società diversa. Dove regna ancora lo spirito comunitario di uomini e donne che si aiutano per aver la meglio su una madre natura particolarmente rigida; tra Siberia e Himalaya dove il calore delle persone è ancora più forte di tutto
wow, non vedo l’ora di sentire i racconti di persona!! Bentornati in Italia a tutti e due!!
Condivido il pensiero. Il vs viaggio mi ha ricordato immediatamente il clima di ospitalità sincera, di aiuto disinteressato e di robustezza delle relazioni vissute in Senegal.L’accezione stessa del termine povertà è altamente condizionata dal contesto culturale. In Senegal, ad esempio, ma in tutti i paesi in cui forte è lo spirito comunitario contrapposto all’individualismo occidentalocentrico, la parola povero è associato al concetto di orfano, di colui che è solo, privo degli affetti famigliari e non legato direttamente al ns concetto materiale di povertà. Un grazie alla bellezza della diversità del mondo e alla possibilità di ampliare le ns convinzioni!!
Ben tornato fratellino
Bellissime Foto!
che visi splendidi!!! “Quando vivi in un luogo a lungo diventi cieco perché non osservi più nulla. Io viaggio per non diventare cieco.”(Josef Koudelka) 🙂
Bellissimo viaggio!!!! Sguardi e poesia..
Che dire? Uno ha anche difficoltà a dire qualcosa. Il testo e/o le foto e/o il racconto di Laura e Roberto che ho avuto la fortuna di ascoltare. Cari ragazzi, grazie. Un mondo migliore c’e’. Le vostre immagini ce lo rappresentano, il vostro racconto ci fa riflettere sull’accoglienza o non accoglienza del mondo occidentale.
Cari Laura e Roberto,
avete fatto un ottimo e interessante commento al vostro viaggio
e delle belle foto. Grazie e complimenti
siete stati bravissimi, mi avete fatto sognare e viaggiare un po’ con voi. Mi piacerebbe avere una vostra foto. Un abbraccio
Siete stati bravissimi, mi avete fatto sognare e viaggiare un pochino con voi. Mi piacerebbe avere una vostra foto. Un abbraccio. Adry
Siete stati bravissimi, mi avete fatto sognare e viaggiare un pochino con voi. Mi piacerebbe avere una vostra foto. Un abbraccio. Adry
Prima di scoprire i confini del Turkestan (come i sovietici chiamavano queste 5 repubbliche che finiscono in -STAN) io non sapevo manco pronunciarne i nomi, figurarsi immaginare di entrare in Kirghizstan per aver scoperto la gratuità del visto via terra; sono stati tanti viaggi nello stesso: in Uzbekistan son rimasta a bocca aperta di fronte allo splendore delle città della Via della Seta tanto care a Marco Polo, che conosciamo o per le etichette dei tappeti che senza sapere teniamo in casa o per il riferimento a qualche titolo di canzone italiana: Bukhara e Samarcanda; in Tagikistan siamo entrati nel vivo dell’ospitalità persiana accettando l’invito dei nostri amici tagiki in Pamir occidentale, dove abbiamo scoperto i popoli della regione del Gorno Badakhshan, e le difficoltà oggettive nel vivere ad alta quota senza acqua in casa, però nel totale rispetto con la Natura e con il misticismo ismaelita; montagne esagerate ci hanno accompaganto per settimane, prima rocciose, poi altopiani senza alberi, e così siamo saliti oltre i 4000 metri in paesaggi lunari dove il respiro si rarefaceva insieme all’ossigeno, gli occhi delle persone diventavano sempre più a mandorla e per il palato tanto yogurt di yak e tazze di tè. E’ proprio il rito del tè che ben rappresenta la calma e l’essenzialità della vita a queste latitudini: ripensando alle foglie del chay, in cui molti asiatici perfino leggono il futuro, il contrasto rispetto alla compulsività delle nostre esistenze di occidentali è davvero forte: qui trangugiandolo da in piedi, invece di sedersi per terra a chiacchierare a mimi e gesti con due pastori di lingua Pamiri nel mezzo delle terre di Nessuno centrasiatiche e alle loro caprette…..di fronte all’ennesima ciotola di acqua bollente. L’umanità che traspare da questo tipo di incontro è più arricchente di qualsiasi altra forma di gratificazione materiale.